Anche in quel convegno era risuonata una storia, raccontata in più occasioni dall’amico Annibale D’Elia.
Immaginiamo una partita di calcio tra due squadre locali: quando una squadra segna un punto e l’altra squadra non reagisce cercando immediatamente di segnarne due per ottenere vantaggio, ma piuttosto tentando ogni strada per dimostrare che quel punto va annullato.
Questo comportamento non riguarda solo il desiderio di mantenere un punteggio neutro, ma riflette una mentalità che si manifesta anche nelle relazioni sociali più ampie. L’obiettivo diventa evitare il confronto diretto o la competizione aperta, piuttosto che cercare attivamente di eccellere o ottenere successo. Invece di lavorare per migliorare e ottenere risultati, l’attenzione si sposta sul tentativo di evitare il riconoscimento dei successi altrui e, talvolta, sulla ricerca di difetti o punti deboli nell’avversario per minare la sua credibilità o il suo successo.
Questo comportamento può creare un clima di sospetto e invidia, in cui emergere o ottenere successo viene percepito come un rischio, poiché chiunque riesca a emergere è soggetto a insinuazioni e accuse. Invece di incoraggiare la cooperazione e la crescita reciproca, si sviluppa una mentalità difensiva che promuove la mediocrità e la stagnazione.
Tuttavia, è importante riconoscere che questa mentalità non è sempre negativa. In alcune situazioni, può aiutare a mantenere l’equilibrio e a prevenire conflitti dannosi. Quando portata all’estremo, può limitare l’innovazione e il progresso, e alimentare una cultura di sospetto e rivalità dannosa.
In conclusione, la teoria dello “zero a zero” riflette un atteggiamento diffuso che cerca di evitare il confronto diretto e di mantenere un punteggio neutro nelle interazioni sociali. Diventa quindi importante trovare un equilibrio tra la gestione dei conflitti e la promozione del successo personale e collettivo, al fine di favorire una cultura di crescita e collaborazione.